Monday, November 30, 2015

A breath of (slightly fresher) air

On the weekend after my first week I got the chance to visit Hangzhou for a daytrip. After running from the metro through Honqiao Railway to reach the train, it only took one short hour on the bullet train and we were in Hangzhou, home of the famous Xihu, or West Lake. Hangzhou is also supposed to be ‘the most beautiful city in China’, and it beautiful it was. Our day was spent wandering around the lake, enjoying the scenic views and traditional buildings and gardens. We got to take out a small wooden boat to see the ‘three pools mirroring the moon’, a set of stone pillars pictured on the 1RMB note. It was lovely to be outside of the city, even if only for a day, to escape the hustle and bustle of Shanghai.

I’ve been enjoying the weekly lessons in Mandarin, and am starting to be able to speak basic phrases to get around, but it’s still so challenging when everyone speaks so fast! This week we learnt how to order food in a restaurant- arguably the most important skill while living in Shanghai, with so many delicious foods around. I can get amazing freshly cooked dumplings on my way home from work, four for only 5 kwai, which I may have indulged in a little too much!

I’ve also done some sightseeing around Shanghai, walking the famous Bund, and visiting both a visiting Salvador Dali exhibition and Rain Room, which is an incredible installation of water and light at the Yuz museum.

I’ve loved my time in Shanghai so far, and can’t believe I’m already halfway through my time in this city. It’s been challenging at times, but I’ve already learnt so much, both in the office and outside, and am so excited for the rest of my time here.

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#Giorno24: ALLO SPECCHIO

Come la destra che diventa sinistra e il raggio di sole che latita in cielo e ti compare sotto i piedi. Come i laghi ghiacciati del Palazzo d’estate, la contraddizione in termini che non ti aspetti. Come la Cina nel mulino che vorrei, fredda, trasparente e muta. Pechino a nord-est, lontana dalla corsa sfrenata alla produzione, dagli acuti del clacson e dai bancarielli piazzati senza criterio. La Cina che apre bocca solo per raccontarti la sua storia e quel passato glorioso che spesso nessuno si fila. E oggi, forse, è il caso di limitare le parole ed ascoltare.
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#Giorno23 CINQUANTA SFUMATURE DI ROSSO, MA DI EROTICO PROPRIO NIENTE

Come la rush hour a Pechino, tra le 18.00 e le 19.00, una sintesi quasi perfetta tra un giro turistico a Scampia e un amaro nei peggiori bar di Caracas.
Una via crucis breve, con tanto di stazioni. L’esperienza mistica parte dalla metropolitana di Tuanjiehu e corre, con brivido annesso, fino a SanYuanQuiao. Si manifesta, generalmente, attraverso una compressione estrema per riuscire a salire sul treno, un parto naturale capovolto: spingi per entrare e da essere umano ti ritrovi, più che feto, sottiletta, perfettamente incastrata tra due fette di pancarrè fumante. Resti in equilibrio, fino a che la composizione del vagone non cambia. Al movimento di ogni singolo pendolare corrisponde una rottura delle relazioni diplomatiche e la ricerca di nuove alleanze e sostegni fisici. Arriva la tua fermata e vorresti fare il segno della croce. Ma spazio non ce n’è, allora “vabbè, come se l’avessi fatto”. Incastri il collo tra le spalle e parti, come un giocatore di rugby, puntando su tutta la forza bruta e l’agilità di cui sei capace. Se non sei abbastanza forte, non passi. Se non sei abbastanza rapido ti ritrovi le porte della metro richiuse in faccia (nel peggiore dei casi, un braccio chiuso tra le porte). Sei fuori e la prima parte è andata. Segui il flusso di persone in uscita, ti piazzi sulle scale mobili cercando di recuperare la lucidità, non sia mai un calo di attenzione! Prosegui a piedi, ma uno tsunami umano avanza verso di te. Ti illudi che passerà in fretta e aspetti, impalata, ma minuti dopo ti ritrovi ancora bloccata controcorrente. E allora niente, ti prepari alla modalità rugby e cominci a dare spallate a destra e manca con tutta la cattiveria agonistica di cui disponi. Esci finalmente dalla metro e arriva la parte migliore. Centinaia di personcine apparentemente per bene e simpatiche aspettano il 401 insieme a te. Tendenzialmente si mostrano benevoli, addirittura ti sorridono.
Tu sorridi a tua volta, ma sai che è tutta una tattica per distrarti: di lì a poco si trasformeranno in nani malefici in lotta per accaparrarsi una trentina di centimetri cubi dentro il bus. Il 401 è in arrivo, facciamo 100 metri. Gli amici, qui, si preparano ad uno scatto felino. E’ un attimo, un flash, e sono tutti dentro, a ‘mo di tetris. Tu, ovviamente, no. Allora ti prepari al secondo parto capovolto di giornata e spingi con tutta la forza che hai, felice, quando le porte si chiudono e tu sei dentro. Con la faccia sul vetro, ma sei dentro. Stremata, ma sei dentro. Ti è andata persino meglio del tizio appeso al palo centrale del mezzo, da fare invidia alle ballerine di lap dance. Solo sei fermate, pensi, e calcoli di essere a casa nella mezz’oretta successiva. Ma è la rush hour e hai fatto i conti senza l’oste. Mediamente una decina di minuti a “stazione”. Che per dieci stazioni fa sessanta. Che aggiunti ai quaranta intensi minuti di metro fa un’ora e quaranta. L’esperienza è da vivere rigorosamente a digiuno. Lo capisci quando, in uno slancio di follia, l’autista prende la rincorsa e, per tagliare una coda, sale sul marciapiedi regalando a tutti momenti di adrenalina quasi gratuita. Per quello che costa il biglietto, poi! La playlist del cellulare è ormai arrivata al terzo giro, della serie che non la sopporti più. Allora ti organizzi la serata e la giornata successiva, per ammazzare il tempo. Dopo un poco ti ritrovi a organizzarti pure il capodanno. Arrivi a Dashanzilukou Nan e ti scende quasi una lacrima. Non che tu abbia capito esattamente l’annuncio della fermata, ma distingui la “D” e questo ti salva. Casa. Sorridi, fino a che non realizzi che devi attraversare la strada. Ma quella è un’altra storia.12298024_10208586142597357_1533504235_o

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#Giorno18 —BIANCO CHE “MANCO IN LAPPONIA”

Come la mattina di Natale nei film americani, quando gli elfi inceppati di Santa Claus tornano a casa, scivolando dappertutto. Come le strade, i tetti, gli alberi e le biciclette.
Come Sanl î tun e la mia faccia, che questi -5 gradi se li prende tutti. Uscire o non uscire, il dilemma di giornata. Alla fine la spunta la prima opzione e, da brava donna avventura, mi preparo per bene ad affrontare la tempesta di neve, più simile alla befana il 6 gennaio che non ad una esploratrice.
In principio sembra una idea grandiosa e affascinante, poi arriva la paralisi a mani, piedi e tutto il circondario. Il pupazzo di neve, classico della letteratura natalizia, e il ghiacchio sotto gli stivali, classico delle cartelle cliniche. Allora, poiché l’equilibrista non la so fare e la bronchite la evito volentieri, faccio quello che il tempo consente.
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Insomma, mangio. Dalle due alle otto, ininterrottamente e in buona compagnia. Esco dal ristorante che fuori è buio.
Non nevica più e la vista è, forse, la Più bella che Pechino mi abbia regalato.
È ancora tutto bianco, ma le sfumature sono tante. Le mille luci del centro commerciale. Gli abeti -ebbene sì, natura. Le decorazioni e il giallo dei lampioni. I giubbotti colorati di baby-cinesini arzilli che, beati loro, vanno saltellando di frasca in frasca.
Il rosso delle arcate nell’atrio di Sanl î tun. La magia della domenica pomeriggio, della città che vive finalmente senza sgomitare. La Pechino accesa.

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#Giorno10: NERO

Come diversamente non potrebbe essere. Come il buio, che è la morte, la paura e l’autodistruzione. Come il filo che lega le cose e genera quelle che chiamiamo coincidenze, curiose simmetrie. Come l’essere sulla barriera secolare della Cina, The Wall, mentre la storia, di barriere, ne alza di nuove.
I fatti di Parigi, da quassù, fanno rabbrividire due volte. Il freddo è pungente e sui gradini alti, stretti e instabili che accompagnano la mia scalata, per la prima volta in questo viaggio, vedo il cielo. E dalla quarta torretta di controllo, quando il tragitto inizia ad essere più regolare, il sentiero scompare nella nebbia.
Di strada, di base, puoi farne quanta ne vuoi. Potresti arrivare a domani mattina, camminando, ed essere ancora lì, in un punto che è uguale agli altri. Immagina un Paese chiuso al mondo esterno, fisicamente. Immagina omini congelati su una montagna, con se stessi, ad urlare che un mongolo sta arrivando. Immagina l’eco che raggiunge la vedetta successiva. L’adrenalina che sale e la sentinella che sente “la sua volta”. Immagina la scena, che si ripete identica, giorno dopo giorno, secolo dopo secolo. Immagina che nessun mongolo armato di scimitarra possa ancora attentare alla sicurezza dei cinesi. Che oggi qua sopra ci sia io, come visitatrice. Finalmente alla fonte, perché la Muraglia è la Cina. Con un silenzio che oggi, 14 Novembre, mi sembra profetico. Immagina un Paese aperto, senza muri. Immagina l’emancipazione, i diritti e la democrazia. Immagina un teatro, uno stadio, una piazza. Immagina un frastuono, un colpo dopo l’altro e tanti uomini cadere, come una sentinella dalla Muraglia. Immagina la solitudine degli ultimi messaggi, “ti voglio bene”, “ho paura”. La consapevolezza di un uomo, una donna, che quella sia “la sua volta”. Il massacro che si ripete, giorno dopo giorno, dovunque nel mondo. Perché il fatto è che i muri esistono anche dove non ci sono. Che le storie tornano, con altre sembianze ed altre sentinelle. Che altri muoiono, comunque, e gli “altri” siamo noi, senza distinzione alcuna. Che ogni muro ci limita nelle libertà fondamentali, qualunque sia la sua materia12285812_10208549663765409_195426705_n (1)

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Friday, November 20, 2015

A week in Shanghai

I’ve now been living in Shanghai for just over a week- life happens so quickly in this city it’s gone so fast! I arrived in Shanghai last week, and it has been an amazing experience so far.

In the days before I began my internship, I attended the CRCC Induction Day at a teahouse, which was full of good food and an introduction to China and Shanghai. That night we had the Welcome Banquet, which I made after briefly getting lost in the concrete jungle that is Pudong! On the weekend I wandered around the French Concession district of Shanghai, where I am living, where I found little boutique shops, cafes and tree-lined avenues. A local Shanghainese friend introduced me to Tianzifang, a little-known maze of cosy alleyways full of crafts markets, art studios and narrow laneways.

I’ve also been made to pick up Mandarin phrases to survive- taxi drivers and shopkeepers don’t speak English, so you will need to know how to ask for what you want! It’s good though- in one week I’ve already improved my language skills by simply living here.

I’ve been interning at the China-Britain Business Council, which has been amazing so far. I’ve been mostly working on research projects produced for CBBC’s Overseas Market Introduction Service, which introduces British companies to the relevant market in China. So far I’ve been involved in projects for companies in medicine, construction and architecture, as well as working on a project collaborating with a law firm for a CBBC event.

I also got the opportunity on Friday to visit FHC – the Chinese Food and Hotel trade show. It was located in quite possibly the biggest venue I’ve ever seen- and was full of international and domestic food and beverage companies looking to import, export or buy products for retailers. I also got the opportunity to form networks with people from Australia, China, Denmark and Britain, swapping my CRCC Asia business card.

I’m looking forward to the many more weeks to come in Shanghai, and can’t wait for the adventures to be had in this city!

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Thursday, November 12, 2015

In cerca di connessioni, tre colori e quattro toni

Giorno 1–GRIGIO: Come il cielo di Pechino al mio arrivo. Come il pickup che dall’aereoporto mi ha portato all’alloggio e i grattacieli che mi ritrovo davanti la finestra. Come l’umore di chi aspetta il viaggio della vita e viene accolto dalla pioggia. Come il senso di alienazione e l’eco di qualche “chi te lo fa fare” che hai lasciato dall’altro lato del mondo, ma che pure ti torna in testa.

 

D’impatto, Pechino è esattamente l’altra faccia della medaglia, che almeno una volta nella vita deve caderti davanti dopo aver lanciato in aria la moneta. E’ la parte del mondo in cui le prospettive si capovolgono, non solo l’orologio. Dove la lingua è una e una sola, il cinese, e tutto il resto è sorrido e ciao. L’inquinamento te lo senti addosso e, quando il livello sale, ti armi di mascherina, neanche fossi un allegro chirurgo. Pensi che questo basti a renderti un “insider”, ma ti sbagli e in realtà non ci hai capito niente. Anche la prima spesa è grigia, quando di fronte allo scaffale del supermercato ti chiedi cosa-è-cosa e alla fine ripieghi sugli spaghetti, import, e un articolato di sopravvivenza. Alla cassa, io e la commessa non ci capiamo: interviene l’amica provvidenziale conosciuta all’aereoporto, che il cinese lo mastica. Se la vede lei, io sorrido-e-ciao. Ritorno a casa, in esplorazione. Uno, due, tre bagni, un pezzo per ciascuno: la stanza doccia, la stanza lavandino, la stanza tazza. Una tazza che, a citare mio fratello, “manco i futurama”: si riscalda, si igienizza e non so che altro. Sulle prime vado cauta per l’aspetto, che ricorda una sedia elettrica, salvo poi scoprire che è il locus amenus della casa, quando la sera avanza e il condizionatore ha una programmazione “come mamma l’ha fatta”, solo cinese. La cena si risolve in una tazza di latte e biscotti. Per sollevare la gola provata dallo smog, un bicchiere dell’acqua appena comprata che, ahimè, scopro essere fruttata. Lo segnala un ideogramma sull’etichetta che anche un cinesino di due anni saprebbe riconoscere. Ma qui ho solo un giorno, quindi tutto regolare. Se mi fermo a pensare che sono a Pechino tutto sembra un sogno e un limbo contemporaneamente. La vocina nella testa, quella del “chi te lo ha fatto fare” cerca di prendere piede, poi un coraggioso “take it easy”! Un buon corso di sopravvivenza, se non altro.
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Giorno 2 –BIANCO –Come la neve che mi ritrovo fuori dalla finestra. Come la scelta di darmi una possibilità. Come il quaderno che inauguro durante il mio “induction day”, la mia prima connessione con il mondo cinese. Una lista di pericoli, consigli pratici e un accenno alla lingua. Una professoressa (rigorosamente native) introduce i quattro toni della lingua e la regola madre per cui il significato di ogni parola cambia in base all’intonazione con sfumature impercettibili. Neanche fossimo allievi della Callas! Ma è musicale, questo mi piace. Bianco, come il riso che accompagna la mia prima vera cena cinese: nessun morto e nessun ferito, no nausea o altri effetti collaterali –con buona pace di nonna Maria. Solo spezie e, di tanto in tanto, piccante in eccesso. Qualche momento di sconforto sul finale di giornata e la vocina, stavolta più debole, del malaugurio. Pochi secondi e scompare, forse sommersa dai rumori del traffico.12207968_10208480926287015_1236784760_n

GIORNO 3 –ROSSO: Come lo scenario che si intravede dalle vetrine dei locali del distretto 798. Come l’enorme masso che domina un incrocio dell’art zone, la prima briciola che mi semino per ritrovare la strada di casa. Come la scultura di un enorme mostro, col dito puntato a mo’ di raccomandazione, su cui mi distendo nel pomeriggio per scattare una foto. Come il colore della prosperità e della bandiera della Cina. Poi, dopo il grigio e il bianco, un tono caldo c’è sempre. Perché il terzo giorno mi ha aperto la bellezza del dettaglio, del particolare. La cura delle piccole cose, delle lavorazioni locali e la scoperta della vita che corre sulle strade principali, ma si sviluppa nei vicoli che aprono a piccoli spazi quadrati.

La cura delle piccole cose, delle lavorazioni locali e la scoperta della vita che corre sulle strade principali, ma si sviluppa nei vicoli che aprono a piccoli spazi quadrati. La ricerca del significato della street art, della storia dietro alla macchina governativa ed un’architettura che non lascia niente al caso. Settantadue ore che sono tanto e non sono niente.

 

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Wednesday, November 11, 2015

I primi giorni

L'arrivo a Shanghai è stato d'impatto. Nonostante il lungo viaggio e l'immediato jet-lag Shanghai affascinaa prima vista.
La diversità tipica della città, dell'architettura, delle abitudini di vita cinesi, non sono state d'ostacolo per sentirsi a casa, i cinesi sono proprio un popolo accogliente!
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Oggi , secondo giorno a Shanghai, abbiamo avuto l'Induction Day presso una casa del te. Il tutto è stato molto interessante e illustrativo di quella che sarà la nostra esperienza di "Internship" e di vita a Shanghai.
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Il team dei manager di CRCC Asia è disponibile per qualsiasi cosa, ci hanno davvero messo a nostro agio! 
Questo  primo fine settimana visiterò Pechino, la sua Città Proibita e le altre affascinanti parti storichedella città!
Sono curiosa di vedere la differenza tra una città internazionale come Shanghai e una più tradizionale comePechino!
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