Friday, September 18, 2015

44 passi in fila per sei (ore) col resto di due (maroni clamorosi).

Quando la fila cinese surclassa quella indiana.

Potremmo forse evitare di parlare del cinese che fa palestra a torso nudo?!

Ma anche sì, potremmo eccome. Ma il dovere di cronaca ci impone una rassegna di queste ed altre consuetudini cino-sudoripare.

Ebbene sì, ammettiamolo, i cinesi sudano, ma profumano. Ciononostante vedere la panca degli attrezzi con un alone da sacra sindone è qualcosa che ci risparmieremmo tutti volentieri. Il torso nudo – imago trasversale di virilità maschile – è molto in voga qui.

Schiere di accaldati individui “sudocratici” se ne vanno in giro lemmi lemmi col la maglietta alzata a metà, a mostrare l’ombelico lucido. Gli stessi individui, ancorché inumiditi dalle proprie epidermiche secrezioni, si posizionano presso le bocche dell’aria condizionata della metro, per suggere bramosamente l’artico alito.

Roba che se lo facessi io, il giorno dopo sarei un esperimento biologico per combinare torcicollo, congestione e broncopolmonite.

Una strana – e ancora non decrittata abitudine – è quella che vede gli autoctoni guidare il motorino con delle sorte di guantoni da forno che arrivano fino all’avambraccio e che rimangono attaccati alle manopole del motociclo anche quando è fermo. Ora, potrei capire la cosa d’inverno, ma d’estate si può a ragione congetturare che lì dentro avvengano processi di decomposizione biologica sconosciuti alla scienza. In effetti è inutile che gli astrobiologi cerchino microrganismi alieni nello spazio. Basta guardare dentro i guantoni da motorino ed eureka! I motociclisti dal guanto del dolce forno – che talvolta è abbinato ad una specie di grosso tovagliolo copri sterno -, indossano spesso anche un casco a protezione meno 10 con una visierona a specchio cangiante. In Europa non verrebbe omologato nemmeno per proteggere i pupazzi sulle macchine a pedali. Quando se ne corrono per la strada con queste bardature metallizzate tipo corazza medievale, sembra che arrivi Robocop.

La strada è l’elemento primigenio di confronto fra lo straniero e la cultura locale. Il secondo è l’ufficio. In entrambi i luoghi avvengono cose straordinarie, inimmaginabili per la nostra routine.

Entrambi i luoghi sono frequentati da molte donne. Spesso si possono anche ammirare notevoli creature aggirarsi per le contrade o gli atrii dei grattacieli. L’italiano è facilmente identificabile: come il girasole (in inglese “sunflower”) si orienta verso i raggi solari, l’italiano – di qualsiasi rango ed estrazione – abdica alla discrezione arrotandosi nel seguire il passaggio dei migliori esemplari del sesso opposto. L’immagine generale dell’atto è un movimento femmino-centrico, con sguardo basculante in modalità scannerizzazione, solitamente accompagnato da un’espressione del viso a significare “tanta roba”. Potremmo definirli/ci/ti/mi “feegflowers”!

Peccato che la poesia passi rapidamente. Basta un sorriso, una camminata, una parola.

Già perché non sempre alla beltade corrisponde un portamento all’altezza. Capita – invero di rado – che anche le fanciulle si cimentino nell’antica arte dello sputo. Capita invece più sovente di sentirle animatamente – e pubblicamente – digerire, miscelando l’ossigeno comune con l’alito dei draghi (si noti come molte pietanze locali siano a base di cipolla e aglio). Non di rado urlano: cioè, nella loro percezione evidentemente parlano, ma in quella di un umano che non debba portare l’apparecchio acustico, gli acuti sfiorano i 100 decibel.

La cosa più allarmante è quando un fiore asiatico apre la bocca a mostrare una dentatura sconnessa, spesso “giallo colesterolo”, a volte “nero tra due anni sei sdentata”. Alcune conservano gelosamente tracce delle passate libagioni negli interstizi dentali. La più parte tossisce, starnutisce o sbadiglia con una filosofia di comunione e condivisione con la comunità circostante.

Altro elemento particolare è vedere queste fanciulle che si proiettano su tacchi funambolici – e talvolta inappropriati – e che alternano un’andatura con passo a spazzaneve a quella con passo dinoccolato e piedi alle dieci e dieci, tipico del burino nostrano. ‘Azz’ che class’ cara fanciull’.

La cosa più sconcertante è il mistero delle gnocche zoppe: di tanto in tanto si vede qualche bella ragazza che vistosamente arranca con una gomma a terra..

Per chi come me alla stipata concentrazione umanoide della metro, preferisce camminare per andare in ufficio, la strada è un bacino inesauribile di immagini, occasioni, racconti. A tal punto che sono uso andarmene in giro con la fotocamera del cellulare accesa, pronta per immortalare le scene più strane.

Questa settimana però le stranezze le ho ammirate in montagna. Essendo la festa della liberazione dall’occupazione giapponese, c’era il ponte giovedì-venerdì-sabato. Salvo il fatto che poi si lavorava anche la domenica (logica cinese)!

Con alcuni amici si è deciso di andare a visitare le montagne gialle (che di giallo avevano solo gli impermeabili qualità sacco della spazzatura dei “millemila” cinesi per metro quadro). Sciagura a noi; mai decisione fu meno saggia.

Se ci sono le vacanze, ci sono i vacanzieri: e se i vacanzieri sono cinesi, i numeri diventano nell’ordine dei milioni.
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Ciò comporta che le meravigliose montagne gialle siano state prese d’assalto da orde di turisti.

La qual cosa ha comportato che gli hotel fossero vagamente straripanti. Con un po’ di classica fortuna del viaggiatore fai da te, l’ostello che avevamo prenotato non aveva più stanze – nonostante appunto, avessimo prenotato! -. Per agevolare la cosa l’oste parlava solo cinese.

Alla fine, con la gestualità italiana e qualche grugnito in simil-cinese, siamo riusciti ad usare il loro PC per prenotare un altro luogo: l’hotel (chiamiamolo così) del magico e indimenticato Mr. Hu. Un ometto basso e tozzo, con manine avide e sguardo da mercante d’assalto.

L’ho odiato e amato contemporaneamente. Se poteva fregarti, lo faceva (e l’ha fatto). Se poteva venderti qualcosa, ci provava. Un “fugnone” clamoroso, travestito da persona viscida e subdola. L’avrei portato a casa con me. Anzi, di più, avrei voluto essere ricco per farmi fregare ancora!

La mattina della “gita” – o meglio, della passione (nell’accezione cristiana del termine) – la sveglia era per le 5. Per arrivare in montagna presto si era detto. Certo, certo: “fidati” disse il proctologo, mostrando un divaricatore al paziente prono..

Un’ora di fila per il ticket dell’autobus che ci avrebbe portato alla seggiovia, un’ora di fila per prendere l’autobus, percorrenza tragitto, mezz’ora di fila per il ticket della seggiovia, un’ora e mezza di fila per prendere la seggiovia.

Alle 10.30 in vetta alla montagna: molto, molto vicino a quelle “madonne” invocate numerose volte durante l’attesa.

Arrivati in cima, a parte una breve parentesi di camminata umana, tutto il resto è stato folla. Quanto meno il clima era dalla nostra: nebbia e pioggia a intermittenza che metti/togli/metti/togli il maledetto poncio impermeabile con la flemma del “dai la cera – togli la cera” del Maestro Miyagi, ma lo “sclero” di Zed di “Scuola di Polizia”.

Poi il picco delle scimmie dove tocca redarguire il giovanotto tanto paffuto quanto acuto come un cane che tenta di passare per la decima volta dalla porta col bastone in bocca, tanto che la scimmia gli fa: <<ehhhh beato te, che non capisci un ca.. spita di niente>>. Il Commodoro dei furbi infatti, stava facendo incattivire le scimmie facendo l’aggressivo, proprio mentre le signorie nostre erano di fianco ai primati. Inutile dire che ha fatto incattivire più me (o la scimmia che c’è in me!). Stupefacente è il fatto che nonostante gli abbia parlato in un basso, animato e coloratissimo italiano da trattoria (per indicargli come, di fatto, i suoi comportamenti fossero appropriati solo ad indurre un moto rotatorio ad accelerazione costante degli gemelli geoidali propri della natura andro-fisiologica, tendente al punto di flessione massima) egli abbia compreso tutto in maniera letterale. Cosa può l’espressione umana..!

La verità è che mi rammarico di non sapere parlare cinese quel tanto da avergli potuto tradurre il mio più sentito “vorrei fossi intelligente per un minuto per farti rendere conto di quanto sei stupido”.

Tutto il resto della gita è stato un’immensa, infinita, sfibrante fila. Stipati per quattro ore su un sentiero di montagna, peggio che in metro. Non proprio una rilassante gita in mezzo alla natura.

Siccome arrivati alla funivia per scendere c’era ancora una bella ora di fila da fare, abbiamo pensato di affrontare la scalinata occidentale. 1300 gradini di sofferenza psicomotoria, resi scivolosi dalla pioggia (frase da leggersi alla maniera drammatica fantozziana).
Fosse solo quello! Essendo le sei di pomeriggio, il tramonto era imminente. La cosa ha quindi comportato il fare i tre quarti del tragitto con il famigerato “scurone”. Pur rischiando di lasciarci la giovinezza quel paio di volte, alla fine siamo arrivati a valle appena in tempo prendere, sfatti e doloranti e coi polpacci di Hulk, l’ultimo autobus.
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Siamo così tornati dal nostro caro Mr. Hu e alla meravigliosa stanza con bagno a vista (un bagno con finestrone da stanza dell’interrogatorio che dava sulla zona notte, schermato da una veneziana arrugginita), costruito per quelle coppie che amano aggiornarsi in diretta su tutti, ma proprio tutti gli avvenimenti della giornata.

Bravo architetto, tu sì che ne sai di privacy.

E niente,  poi tutto il resto è pullman e lavoro domenicale posseduti dalla stanchezza universale.

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