Monday, August 10, 2015

Il festival della malattia!

Curiosità culturali antropologiche.

Settimana di fuoco ragazzi!
Che detta così pare festa grande. E invece sembrava la settimana internazionale della malattia e della vecchiaia. Un appartamento di derelitti. Chi con la tosse, chi col moccio al naso, chi – come me – con la febbre.
Tutto iniziò sabato scorso, dopo una serata terminata alle 5 a mangiare dal “lerzo” locale (il corrispettivo del “lerzo” fuori dalle nostre discoteche …che se è “lerzo” in Italia, figuriamoci qui).
L’indomani la levataccia fu attorno alle tre di pomeriggio. Martello di Thor nel cervello, voce da oltretomba e lucidità da anestetico per elefanti. Da buttare via insomma.
Tutto il giorno così, facendo la spola nella magica tris: letto, frigo, divano. Con puntatine di cesso per alternare il tutto. Un’ intensa ventiquattrore di inutilità sociale.
L’indomani, domenica, altra giornata letargale. Così il dubbio viene: e alla prova termometro la conferma. E febbre sia.
L’ideona del secolo è stata andare al lavoro lunedì. Cosa che ha necessitato di passare più e più volte per gli sbalzi climatici dettati dal regime della metro, sotto il dominio della Regina delle nevi. La cura migliore ..anzi, la cura definitiva!
Alla sera uno straccio semovente si aggirava irritato per la metro, arrancando sino a casa. È incredibile la gamma di sentimenti che i cinesi possono suscitare nelle loro manifestazioni quotidiane. Un giorno li abbracceresti e vorresti adottarli. La sera stessa hai la compassione di Dracula. E li odi. Tutti. Profondamente.
In effetti una delle caratteristiche che accomuna i cinesi è che ti snervano. Non si sa bene perché, non si sa come, ma ci riescono. E talvolta ci riescono molto bene. Ma poi tutto passa e torni ad apprezzarli.
Avendo passato la settimana in letargo tipo reparto geriatria, tristezza e rassegnazione, la cronaca non regala certo spumeggianti emozioni. Cosa che mi dà l’occasione di spostare l’attenzione su taluni interessanti aspetti etnologici della società shanghaiana.

Parliamo di cessi – fulcro del progresso umano di ogni epoca ed epicentro di concentrazione mantrica -, ma partiamo da più lontano: riciclaggio.
Si potrebbe pensare che la Cina sia un luogo molto arretrato (e in effetti per alcune cose lo è). Eppure, a differenza di ciò che per esempio avviene negli States, hanno molta consapevolezza dell’impatto che il loro numero e la loro società ha sulla natura. Quindi si vedono molte zone verdi nelle città e, soprattutto, fuori dalle città piantano tantissimi alberi. Allo stesso modo, fanno la raccolta differenziata. Ecco, il fatto è che non la fanno a monte, ma a valle.
Ovvero, tu butti tutto assieme e poi qualcuno separa l’immondizia. Per strada. In realtà per i residenti c’è anche (credo) una prima divisione fra vetro, plastica e umido. Ma non è raro per la strada vedere gente che ravana nella spazzatura per dividere la plastica da altri elementi. Poi ci sono le bici col carretto, dove viene caricato tutto il materiale. ..ma come se avessero la capienza di un bilico! Per cui si vedono bici sormontate da materiale di ogni sorta che straborda sui quattro lati, trainate da secchissimi ometti ossuti, che si immergono nel caotico traffico.

Per tornare al cesso – ultimo baluardo di solitudine del cavernicolo moderno -, qui si fa una raccolta differenziata molto particolare. Il sifone, questo sconosciuto: i cinesi, oltre a non aver ancora colto appieno questa antica invenzione umana, che permette a tutti noi – che lo usiamo – di non avere reflussi e odori diretti, hanno anche le tubature strette. Pertanto facilmente intasabili (cosa che scoprii mio malgrado la prima sera di Cina).

Tale fatto, abbinato alla loro perversa modalità di riciclaggio, li spinge a non buttare la carta igienica nel water (che, sottolineiamolo, è privo di spazzolone: orpello inutile. Qui piace lasciare la mancia). Ogni bagno sarà sì privo di finestratura di sorta – vissuta un po’ come il sifone: qualcosa di cui si può fare francamente a meno nella vita -, ma avrà presso sé uno scomodo e poco capiente cestino. Rigorosamente aperto. Esso accoglierà i vostri e gli altrui scarti cartacei, per il comune piacere visivo e la realizzazione professionale di colui che è preposto a svuotarli.

Un’altra curiosità del popolo del sol levante, è che esso costruisce i propri grattacieli su impalcature …fatte di bambù (e legate insieme con – se va bene – filo di ferro, -se va male – paglia intrecciata). Ma la parte bella è che le passerelle sono costituite da canne intrecciate.
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Insomma un inno alla natura e al lavoro sicuro. Ovviamente non esiste alcuna protezione, se non un elmetto giallo in simil-plastica, spesso come un foglio A4 e resistente come un fico maturo. Ma a noi l’operaio moderno piace così, spavaldo e sprezzante del pericolo. Col suo bel berrettino protettivo portato distrattamente sulle ventitré o, perché no, sopra un altro cappello, che fa un po’ yuppies, un po’ Lapo.

La settimana comunque rientra nei ranghi della salute sul far del sabato, con capatina in discoteca dove, per festeggiare il ritorno alla vita, decidono che è saggio sputare addosso a sudati corpi danzanti, flussi di aria gelida. Ma a loro piace vederla sublimare. Insieme alla voce, che la domenica mattina sembra quella di Palomo: essere mitologico metà uomo e un quarto donna.

E anche per questo fine settimana, sono previsti strascichi di malattia e vecchiaia, da portarsi in ufficio il lunedì successivo insieme al famigerato “naso gocciolone”.

Ora sì che capisco perché tutti qui tirano su dal naso e lo sport nazionale è lo scaracchio parabolico carpiato.

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