Friday, August 7, 2015

Sofferenze multimediali. Dove la lentezza assume un significato filosofico

Una delle cose più snervanti della Cina è internet.
Semplicemente perché non funziona. Anzi peggio, funziona un po’ sì e un po’ no. Il che offre ottative illusioni di connessione e vane speranze di condurre una normale vita da ventunesimo secolo. Sarebbe meglio non funzionasse del tutto, così un si mette l’animo in pace …e anzi, vivrebbe meglio e più rilassato.
Le cose vanno più o meno così: siti come google, facebook, gmail, youtube ecc. sono bloccati. Gli altri – che dovrebbero andare – , non vanno comunque. Sono bloccati perché ci sono i corrispettivi cinesi, ovviamente in cinese, ovviamente con le ricerche bloccate.
Per poter aggirare i blocchi, si usa il VPN, un programma che fa rimbalzare i segnali del modem. Cosa che necessita di una buona connessione wi-fi. E qui cade l’asino. Perché la questione è proprio che qui, oltre ai siti bloccati, c’è anche un wi-fi con connessione medievale.
Di più – come direbbe il migliore dei Sandro Mayer -, il VPN stesso funziona quando ne ha voglia lui. E quando ciò accade, va a singhiozzi. Tipo che si attacca ala linea due minuti e poi cade per un quarto d’ora.
La cosa rientra chiaramente nel reato di induzione all’omicidio.
In effetti, una delle maggiori cose che insegna la Cina è la pazienza. Decine di tentativi di mandare una mail, da tre differenti account, o millenni per aprire un collegamento, o ancora anni luce per caricare un qualsiasi elemento multimediale, mi riportano direttamente negli anni ’90, col modem 56 k.
Avendo già sperimentato la cosa allora, pensavo il destino me ne avrebbe risparmiato una seconda esperienza. Tanto più che allora il mondo era ancora lento allo stesso modo del modem 56 k.
L’agonia multimediale invece è quella sofferenza tipica di chi necessita per lavoro ed esigenze personali di doversi connettere a un mondo che va ad una velocità da lepre, potendolo però fare al ritmo di una lumaca.
E in effetti questo contraddistingue anche il comportamento dell’indigeno di Shanghai, sia esso cinese o “expat”. Shanghai assomma a sé frenesia e lentezza.
Facendo un parallelo è come avere i ritmi di Milano, con i tempi di Roma ed il caos di Napoli (e con un pizzico di svogliatezza spagnola).
Ma tant’è: ci si deve adattare alla triste realtà di fare in tre ore (se va bene) quello che si potrebbe fare in un quarto d’ora. In rete come in strada!
La svogliata flemma dei cassieri al supermercato, ad esempio, non accenna minimamente ad intaccarsi nemmeno di fronte a code chilometriche.
Allo stesso modo in metro, all’ora di punta, lo “sceriffo” che decide cosa devi far passare al metal detector (una figura fondamentale per la sicurezza di tutti noi!), non accennerà né a rivedere i suoi criteri di selezione, né ad aumentare i suoi ritmi di cernita. E nulla gliene cale se ci sono centinaia di persone compresse in una italianissima fila ad imbuto.
La settimana però per me ha preso ritmi diversi. Con lunedì ho iniziato il nuovo lavoro, in una multinazionale con ufficio taglio boutique (sulla ventina di persone). Ottimo per un ambiente meno formale ed ingessato.
La cosa porta con sé anche l’agognato traguardo di dismettere la cravatta, che – per quanto da me adorata – d’estate si rende meno amabile.
La settimana scorre, come sempre, tra caldo torrido e ritmi lavorativi, sebbene più tranquilli. Con la sesta settimana posso dire di essermi definitivamente amalgamato alla città e di iniziare a capirne ritmi e abitudini …incominciando a farne parte.
Mi fa compagnia un costante, simpatico, mal di gola. Si presenta alla mattina appena sveglio, bigia dal lavoro, ma riappare baldanzoso la sera.
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Sera che regala sempre qualche amabile chiacchierata con i “flatmates” o, come nel fine settimana, qualche meritato svago.
Questa volta si è andati al Bar Rouge, uno dei “rooftop” più famosi di Shanghai e del suo “Bund”, il lungo-fiume. Posto “pettinato” (come si dice dalle mie parti), dalla vista mozzafiato sui grattacieli di Pudong (la zona finanziaria), illuminati alla pacchiana.
Pacchiano, che qui ha un certo seguito, specialmente nei ristoranti e negli alberghi, dove baroccheggianti arredamenti rosso/oro da case sequestrate ai camorristi, si alternano a lucidissimi marmi in stile sfarzo senza giustificato motivo. Il bello della Cina è però trovare i contrasti in ogni cosa: perché magari il quello sfarzo, ci trovi qualcuno che ronfa della grossa il sonno dei giusti.

Ma qui va bene così.

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